Meglio coltivarlo
Talent Management: coltivare o acquisire?
Il Talent Management è un tema strategico per le imprese. In verità si tratta di un vero e proprio assillo per Ceo, Executive e HR. La pandemia poi sembra aver peggiorato la situazione: continuano ad aumentare così le pressioni, che alimentano stress e frenesia, per cercare i migliori talenti su un mercato globale.
Sono convinto che sia giunto il tempo di cambiare focus. Ancora troppe attenzioni, infatti, si rivolgono al mercato esterno dell’impresa anziché all’interno. I principi e la spinta propulsiva del modello strategico della resource based-view sembrano aver registrato un cedimento. Gran parte degli investimenti si concentrano ancora nella costruzione di aggressive e costose pratiche di Talent Acquisition. Un approccio coerente con l’economia on demand che sta abituando tutti a cercare e comprare ogni cosa nel mercato, un paradigma che ha trasformato anche la vita.
Un cambio di prospettiva
Ma siamo certi che il Talent Management sia questo? «Gestire» è pratica ben diversa da «acquisire». Per il primo occorrono mindset e competenze, che sono le fondamenta di un people management adeguato alle sfide che le imprese hanno di fronte, e che guardano con attenzione alle necessità di re-skilling e up-skilling.
D’altro canto, la concentrazione maniacale verso l’esterno dovrebbe farci preoccupare, varrebbe confessare che le imprese sono poco talentuose. Se i talenti sono così scarsi e difficili da acquisire tirerebbe proprio una brutta aria per l’economia. Infatti, la maggior parte delle imprese sarebbero destinate a fallire in poco tempo non potendo trovare nutrimento, forza, energia per lo sviluppo.
Ma è così? Piuttosto, quanto è questo atteggiamento frutto della retorica economicistica della scarsità che non riesce a vedere l’abbondanza? Questo atteggiamento non è espressione di una debole cultura manageriale? Forse allora è giunto il tempo di cambiare prospettiva e porci una domanda: siamo sicuri che, al di là di quello che si narra, nelle imprese ci sia una cultura diffusa e solida che chiede ai manager disimpegnarsi a «coltivare» i talenti «dentro» , piuttosto che investire tempo in «guerre» all’esterno? Impegnarsi in questa pratica (metaforicamente significa curare il giardino del lavoro) non sarebbe più sostenibile? Non potrebbe essere un modo per creare maggiore impatto sociale positivo?
Un Talent Management sostenibile è attento allo sviluppo delle persone
Alcuni studiosi già ci avevano messo in guardia da questa «deviazione manageriale». Si interrogavano se il focus dominante verso l’esterno non fosse espressione di una filosofia di talent management «povera», costruita su presupposti sbagliati e fuorvianti. Una filosofia, in altre parole, figlia della pigrizia di manager che, paladini del «tutto e subito», non hanno tempo né voglia di curare le persone. Conviene? Facile è immaginare quali costi per l’impresa comporti questo approccio; quali implicazioni negative produca sul livello di engagement e motivazione dei collaboratori; quali effetti possa arrecare alla stessa società che si scopre popolata così da soggetti economici incapaci di creare ambienti dove far fiorire persone, energia e soddisfazione nel lavoro.
È tempo di accelerare un cambio di passo perché non si sprechino più talenti, di imboccare la via di un people management sostenibile che valorizza tutte le persone e l’abbondanza dei talenti, circostanza sacrificata sull’altare della scarsità che produce solo bolle di effimero valore. Peter Cappelli ha scritto che l’incalzare della pratica di approvvigionamento di talenti on demand taglia alla radice le abilità di sviluppare talenti all’interno creando «a vicious circle that erodes talent». I manager infatti sono addomesticati dal vizio celato in questa domanda: «perché coltivare i talenti quando posso comprarli sul mercato già pronti?»
Ri-orientarsi all’interno
Quello appena descritto è un approccio che però impoverisce tremendamente il lavoro del people manager ridotto al ruolo di buyer. Bisognerebbe invece sollecitarlo a scoprire i talenti che tutte le persone hanno in dote e costruire le condizioni psico-socio-organizzative perché possano fiorire.
C’è da augurarsi che la scarsità lamentata dei talenti «fuori» dell’impresa, insieme alla necessità di rispondere rapidamente alle esigenze di dotazione di team competenti e flessibili, diventino la spinta per ri-orientare lo sguardo manageriale all’«interno». Due sono le cose da fare. Lavorare per riqualificare le competenze richieste dalla digitalizzazione e chiarire le aspettative riposte nei manager che vanno valutati anche per le loro abilità di coltivare talenti.
Riferimenti:
Cappelli P., Talent on Demand: Managing Talent in an Age of Uncertainly, Harvard Business Press, Boston, 2008
Gabrielli G. (2019), “Vocazione e responsabilità. Lo sviluppo dei talenti nella prospettiva manageriale: un approccio critico”, in Alici L. (a cura di), La grazia della vita, Ancora, Editrice, Milano.
Per informazioni puoi scrivere a: conversazioni@peoplemanagementlab.it oppure direzione@peoplemanagementlab.it